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TU CHIAMALA, SE VUOI, FUGA

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Io non ho niente contro la fuga.
La fuga è un istinto primario che consente di reagire immediatamente di fronte a un pericolo. Le alternative sono due: fuga o attacco.
La scelta dipende dalla capacità di analizzare e comprendere la situazione, dall’esperienza, dalla furbizia e da innumerevoli altri fattori fisici ed emotivi dell’interessato.
La fuga può permetterti di salvare la pelle, l’attacco ad ogni costo di perderla per un moto d’orgoglio.
Parto, quindi, dal presupposto che la fuga sia un sacrosanto diritto dell’essere umano, da attivare per propria difesa quando le altre opzioni appaiono non consigliabili.
Poco più di un anno fa credo di aver dato una risposta simile ad una collega che commentava la mia decisione di prendere l’anno sabbatico.
La tua mi sembra una scelta consapevole” mi disse “non mi pare una fuga“.
Anche se lo fosse” le risposi “sarebbe comunque dettata dalla sopravvivenza“.
Non ho cambiato idea, anzi. Sono convinta che non stia scritto da nessuna parte che si debba diventare martiri per forza, soprattutto quando la causa non merita il sacrificio.
Da quando la mia famiglia ha maturato da decisione di espatriare, lasciando il Paese d’origine, gli affetti, i lavori, gli amici, mi capita di riflettere sul concetto di “fuga” che viene spesso accostato a chi decide di andare a vivere in terra straniera.
I commenti e le discussioni sono, tra l’altro, parecchio frequenti in questo periodo di crisi in cui, per molti, l’andarsene altrove rischia di diventare una scelta obbligata.
Per grande fortuna il nostro caso ha potuto essere il frutto di una scelta libera, non condizionata o costretta da ragioni di grave necessità, come, invece, purtroppo, accade ed è accaduto in altri tempi e in altri luoghi.
Il motivo per cui, oggi, mi trovo a scrivere questo post è che c’è qualcosa che suona strano nella mia testa quando mi capita di leggere le riflessioni e i commenti sugli “Italiani all’estero“. 
È come se si creassero per forza le due grandi categorie: i “poverini” che se ne sono andati, non avendo altra scelta se non quella della fame, e i “traditori” (passatemi il termine) che sarebbero quelli che, pur avendo di che vivere in casa propria, hanno deciso di voltare le spalle al  proprio mondo, andandosene altrove a fare la bella vita.
Sicuramente esistono gli emigranti per fame, così come quelli che passeranno il resto dei loro giorni su uno yacht veleggiando per mari tropicali. E beati loro, davvero, se se lo possono permettere.
Credo, poi, che ci siano altri, “tutti gli altri”, forse, che ad un certo punto della loro vita si son trovati di fronte ad un bivio, magari senza neppure aver fatto grandi cose per arrivare li. E han dovuto decidere, nell’arco di pochi giorni, cosa sarebbe stato meglio per loro, per la loro famiglia e i  loro figli.
Compilando un infinito elenco di pro e contro. Vantaggi e svantaggi. Cose belle e cose molto meno belle di cui tenere adeguatamente conto, con mille dubbi, incertezze e paure.
E che, quasi, si son trovati a decidere con un testa o croce della moneta da un Euro.
Potrei continuare a scrivere righe e righe su questo tema. Che da qui ai massimi sistemi economici, sociali, politici, il passo è breve e non si finirebbe davvero più.
Mi piacerebbe solo dire che, come spesso accade, la realtà non è (quasi) mai solo bianca o solo nera, che in questa vita nulla è perfetto, ma è lecito (e forse doveroso) sperare e lavorare per ottenere qualcosa di meglio.
Che l’Italia era forse, davvero, uno dei posti migliori del mondo per vivere, prima che le piaghe che purtroppo ben conosciamo la rendessero quello che oggi è diventata. 
Che ritengo sia legittimo per dei genitori sperare che i propri figli possano crescere in un ambiente sano, respirando aria decentemente pulita, bevendo l’acqua del rubinetto. 
Correndo nel parco sotto casa a piedi nudi, senza il terrore di ciò che potrebbero calpestare. Che possano fare l’esperienza di andare a scuola da soli a cinque anni, senza l’angoscia di pensarli  investiti al primo passaggio pedonale, rapiti o violati non appena tu distogli lo sguardo per un attimo di stanchezza o distrazione.
Che ritengo legittimo, per tutti, sperare di vivere in un mondo in cui il primo pensiero, quando ti alzi al mattino, non sia come evitare di essere fregato o truffato dal prossimo, o la preoccupazione di  mettere alla porta quattro serrature per illuderti che così sarai più sicuro.
Che ritengo sacrosanto il desiderio di conoscere, di fare esperienza del nuovo e del diverso da sé. Che ti consentirà, poi, di decidere davvero cosa tu ritieni meglio per te stesso, più vicino al tuo essere e in armonia col tuo sentire, le tue aspirazioni e i tuoi sogni.
Che, magari, alla fine, potrai davvero scoprire che la cosa più meravigliosa del mondo è il cappuccino del bar sotto casa nella via in cui sei nato. Ma fino al giorno in cui non avrai assaggiato altre migliaia di cappuccini, o riso disgustato dalle uova strapazzate a colazione, non potrai mai esserne certo.


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