La vocina è ancora più infantile al telefono: “Stai bene Patato? Sei tornato da scuola?” “Sì, mamma, adesso vado in camela a giocale…”
Ci sono volte in cui è più difficile andare via, anche se per pochi giorni, anche se per motivi importanti. Anche se Lui rimane (finalmente) tranquillo a casa sua, col papà e con la nonna che lo vizierà all’impossibile (o proprio per questo, forse!) Sarà per la tosse di queste notti, sarà perché “Voglio venile anche io con te, mamma”, sarà perché “Ho fatto un disegno pel te, vedi la casetta? L’ho fatta io!”
Pensavo a una cosa in questi giorni e cercavo risposte a qualche domanda. Quando i figli crescono i genitori, spesso, sembrano non riconoscerli più. Sembrano conservare, cristallizzata nella loro memoria, l’immagine della creatura quando era bambina, nonostante gli anni passati, le vite vissute, i cambiamenti fatti e subiti. Il figlio, nella loro testa, continua ad essere quell’esserino di tanti anni prima, che era fatto “in un certo modo” e di quel “certo modo” sembrano essere i soli ed unici depositari fino alla fine dei tempi. Lo vedo coi miei genitori, lo vedo con mia suocera, che a volte attribuisce a suo figlio caratteristiche che io non riconosco più di tanto. E mi domando: perché? Forse che, inevitabilmente, crescere significhi diventare estranei alle persone che più ci erano vicine al mondo? Forse che, invece, non necessariamente i legami di sangue crescono insieme a ciò che davvero siamo o a quello che la vita ci porta a diventare?
↧
PICCOLI ADDII
↧